di Luigi Gravagnuolo
Alla stregua del divorzio, dell’aborto e delle unioni gay, quello delle cremazioni è uno dei nodi sensibili delle relazioni tra Stato e Chiesa. Cerchiamo di capirne il perché, cominciando dai dati. La cremazione delle salme in Italia è passata da circa 3.600 unità nel 1987, anno in cui venne legalizzata in Italia con la legge 440, a circa 30.000 del 2000, a 112.000 del 2013. Ed il trend è in crescita. Hanno influito in questo andamento il cambiamento dei costumi ed il conseguente incremento del numero di impianti sul territorio.
Anni fa, in occasione dell’inaugurazione dell’impianto cavese, ebbi modo di soffermarmi su queste colonne sulla compatibilità delle cremazioni con la fede e la tradizione cattoliche. Ero e sono consapevole che la Chiesa ha nutrito da sempre una grande diffidenza verso questa pratica; ma, a mio avviso, le ragioni dottrinarie non avrebbero mai potuto condurre ad una sua condanna. Tant’è che, col Concilio Vaticano II, la Chiesa si era finalmente aperta ufficialmente alla cremazione. Segnatamente con l’istruzione della Suprema Congregazione del Sant’Uffizio “Piam et constantem” del 5 luglio del 1963, in cui, nel ribadire l’invito ai vescovi di predicare preferenzialmente l’inumazione, si disponeva che potessero ricevere i sacramenti anche i fedeli che avessero scelto di farsi cremare, a condizione che la loro scelta non fosse stata fatta sulla base della negazione delle verità della fede cristiana, o per appartenenze a sette. Tale orientamento dottrinale venne poi recepito nel Codice di Diritto Canonico del 1983.
È di martedì scorso la Conferenza Stampa del cardinale Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in cui il prelato ha illustrato i contenuti dell’ultima istruzione della Congregazione, la “Ad resurgendum cum Christo”, approvata dal Papa il 16 marzo e pubblicata il 15 agosto di quest’anno. I media nazionali ne hanno parlato come di una sorta di rivoluzione culturale in ambito ecclesiale. Non è propriamente così.
La “Ad resurgendum cum Christo” , difatti, non si discosta in nulla dalla “Piam et constantem”, riaffermand che la Chiesa preferisce e suggerisce il rito dell’inumazione, pur non negando i sacramenti a chi sceglie la cremazione. Quanto alle motivazioni della scelta, nella “Ad resurgendum” si fa riferimento a “ … ragioni di tipo igienico, economico o sociale” che possono giustificare la cremazione. Il dato saliente è però un altro: nell’istruzione ci si pronunzia esplicitamente in merito alla crescente richiesta, da parte dei familiari dei defunti, di disperdere le ceneri del caro estinto nell’ambiente – nel mare, o nei fiumi, o sui monti – in nome di simbolico “ritorno alla natura”; oppure di distribuirle tra i propri cari, in modo che ciascuno di essi possa conservarne una parte nella propria abitazione, magari incastonandola in gioielli.
L’istruzione della Congregazione, pur aprendo ad eccezioni: << … Soltanto in caso di circostanze gravi ed eccezionali, […] l’Ordinario […] può concedere il permesso per la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica>>, ne vieta sia la dispersione nell’ambiente, sia la custodia presso luoghi privati. Nel primo caso per l’evidente spirito panteista ed anticristiano che ispira la scelta; nel secondo onde scongiurare che, presso le abitazioni private, si svolgano pratiche “sconvenienti o superstiziose”. O riti satanici, aggiungo io.